L’oro del mare di Maura Banfo

Chi è innamorato del mare, lo è senza misura, come lo è questa distesa amniotica di blu che si tinge fino al verde, al nero, al turchese, all’azzurro più chiaro. Al bianco, a volte. Una nostalgia, che non è solo per il mare, ma per qualcosa che il mare incarna. Una mancanza, una melanconia, la pace, e il tumulto, di un luogo che è una dimensione dell’anima. La nostalgia di sé. Il mare va semplicemente ascoltato, riempie ed esonda l’orizzonte, eppure è capace di racchiudersi in una conchiglia. L’ascolto è la sua prima lezione, quella che conduce all’oro. Un oro metaforico.
L’oro del mare riluce come un miraggio, e per Maura è quella lieve traccia da seguire in una ricerca sottile ed intima continua, una navigazione su una foglia, così simile alle grandi narrazioni mitologiche della storia della letteratura.

Quale differenza tra le vite di ognuno e le peregrinazioni degli eroi antichi? Primo fra tutti Ulisse. Ma ci sono anche figure poco note, ma non minori, come le raccoglitrici del bisso, quella bava di filo prodotta dalle enormi valve della Pinna Nobilis. Così raro, così difficile da raccogliere e tessere da diventare un materiale preziosissimo, nobile, introvabile. Viene chiamato proprio l’oro del mare. Tessuto organico che re e regine di ogni tempo hanno voluto per abiti che ne celebrassero il potere. La sua raccolta è una pratica femminile antica e sacra, che si tramanda come un sapere magico per iniziate.
Lo stesso tipo di raccolta, e di cura, che Maura porta avanti da anni, quel suo porsi in ascolto del mondo delle piccole cose, oltre che del mare, di una realtà panica e superiore che si manifesta attraverso di esse. Se le si sta ad ascoltare (di nuovo l’ascolto come condizione). Una raccoglitrice di piccole voci, di segreti, quelli che raccontano verità semplici.

Le sue opere sono diari che aprono a un dialogo empatico con la natura, luogo di appartenenza, così fragile ed esposto, così violento e furioso. Si è sempre in bilico con la natura, che è nemica e amica, ma ora, nell’antropocene, anche vittima. Maura colleziona frammenti, piume, conchiglie, fiori, nidi, vecchie fotografie. Elementi di un alfabeto che ri/compone, e protegge, in opere-teche attraverso linguaggi e formalizzazioni diverse. Fotografie, disegni, sculture. Sono scatole magiche, narrazioni delicate e sospese di una wunderkammer intima. Maura ne ricerca la bellezza, valore assoluto del suo fare, e la fa risplendere, trasformandola in oro. Come un’alchimista.
(Dal testo di Olga Gambari, 2021)

Maura Banfo nasce a Torino nel 1969.
Ha sempre subìto la fascinazione della materia: nella sua ricerca pluridecennale – costellata di mostre, residenze d’artista e molti riconoscimenti – ha attentamente indagato osservando la realtà, a partire dagli oggetti che la circondavano e decidendo di restituirli con il mezzo fotografico (e non solo) come nuove entità spogliate del loro significato, architetture da esplorare, entità da osservare sotto punti di vista inediti per aprirli a nuovi codici di senso. La sua forza sta nel mantenere ben riconoscibile la propria impronta creativa e la propria poetica, ma in una continua scoperta di nuove sfaccettature e punti di vista: sebbene prevalga una preferenza per la fotografia, lavora con padronanza anche con il video, il disegno e l’installazione. Le sue opere sono presenti in molte collezioni private e pubbliche.

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